Periferie, cantieri, banche, uffici, centri commerciali, autostrade, aereo-porti. I luoghi anonimi e standardizzati del transito, del lavoro, della comunicazione. Da quasi quindici anni il lavoro di Luca Pancrazzi indaga il paesaggio della “surmodernità”, attraverso una straordinaria varietà di linguaggi (disegno, pittura, scultura, installazione, fotografia, video, etc), quasi a delineare una sorta di archivio sempre aperto e in continuo aggiornamento, costruito su continui e complessi rimandi interni. Ma i paesaggi di Pancrazzi sono, in verità, pretesti per interrogare più indefiniti paesaggi interiori e i processi che legano queste due dimensioni. Per questo motivo, l’osservazione della realtà, l’indagine sul territorio di matrice quasi antropologica non è mai restituita in modi oggettivi e documentari, ma è sempre mediata, rivista attraverso altri linguaggi, filtrata dalla memoria, e infine interiorizzata. Ne deriva un’acuta sensibilità per i problemi legati alla visione, alla costruzione, riproduzione e trasmissione delle immagini, come per la percezione e definizione delle coordinate di spazio e tempo nella realtà contemporanea. 

Mantenendo lastessa assoluta libertà di linguaggi e forme, in questa sua prima personale berlinese, Pancrazzi ha costruito una non-narrazione che gravita intorno ai concetti di centro e periferia, ai rapporti che si creano tra definizione del paesaggio urbanistico e processi di percezione dell’individualità. Attraverso diversi lavori che rimandano alla presenza di piu punti di vista, della compresenza di molteplici centri e orizzonti di senso, Pancrazzi allude al superamento di una visione urbano-centrica, come di una visione ego-centrica, per accogliere la possibilità di uno sguardo continuamente dislocato, potenzialmente al di fuori di se stessi. 

Mai evocata direttamente, ma come sottintesa costantemente, Berlino è il pretesto, il motore non dichiarato di questa visione. I diversi lavori in mostra, legati tra loro in modi non sempre evidentemente diretti, andranno a formare una sorta di laboratorio aperto, che rimanderà alla realtà della città come organismo mutevole, sfuggente, in via di continua definizione. Una mostra come un cantiere di sperimentazione, un luogo da metter ancora a fuoco, all’incrocio tra più punti di vista.

Luca Cerizza